Come contrastare i cali di memoria
nell’invecchiamento
mariagrazia, domenica 19 aprile 2009 - 00:00:00


Ivo Bianchi*

Uno dei problemi che accompagnano un invecchiamento anche normale è il progressivo affievolirsi della memoria, cosa che quindi non è sempre da attribuirsi alla comparsa dei primi sintomi di demenza, ma più spesso a un fisiologico deterioramento comune ad ogni organismo vivente. Le ricerche hanno dimostrato come la sede della memoria per i fatti recenti, quella che più comunemente diminuisce con l’età, è situata in una parte molto profonda del nostro cervello detta, per la sua forma ricurva che ricorda un cavalluccio marino, ippocampo. Lesioni di questa regione dell’encefalo determinano appunto perdita della memoria recente, difficoltà di controllo sui propri comportamenti, problemi di orientamento e di organizzazione delle nostre mappe cerebrali. Sintomi che indicano un pur iniziale o momentaneo deficit della funzione ippocampale, quali possono essere il non trovare più dove si aveva posteggiato la macchina, non ricordare eventi di pochi giorni prima o curarsi meno, inconsciamente, delle normali regole civili, debbono metterci in preallarme.

Le cellule di questa area del cervello sono particolarmente evolute e specializzate, ma anche molto sensibili ai cambiamenti della chimica cerebrale dovuti a infiammazioni, tossici o turbe ormonali. Ad esempio lo stress cronico provoca un aumento dei livelli di cortisolo, ormone che selettivamente danneggia queste cellule, e una contemporanea diminuzione del DHEA, ormone che, oltre che conservarci giovani in toto, protegge queste stesse strutture. Il cortisolo fisiologicamente prodotto in eccesso sotto stress o l’analogo chimico, il cortisone, danneggiano le strutture della memoria, a lungo andare, in maniera definitiva. Anche se in qualche caso sarà utile che alcuni eventi non siano stoccati nella nostra mente, e quindi lo stress stimolerà un oblio positivo, in genere dobbiamo proteggere l’ippocampo da questo tipo di danni. Pratiche alla portata di tutti quali yoga, meditazione, preghiera, massaggio, possono prevenire e contrastare gli effetti dello stress a livello organico e impedire o rallentare il deterioramento mnemonico. La medicina tradizionale indiana usa da millenni piante che contrastano l’ipereccitabilità cerebrale e conciliano la meditazione. Il loro effetto è oggi validato scientificamente. Tra queste, una delle più interessanti e specifiche è la Withania somnifera, nota anche come Ashwagandha o Ginseng Indiano. La pianta non ha gli effetti collaterali, vedi ipertensione, del classico Ginseng coreano, bensì ha un ruolo adattogeno e di protezione cerebrale, grazie alla mirabile sinergia che si verifica tra i suoi componenti anti infiammatori, ormonali, calmanti, antiossidanti e immunostimolanti. La medicina tradizionale occidentale è meno studiata, snobbata e dimenticata in favore della farmacologia chimica emergente. Tuttavia i suoi insegnamenti si possono ancora trovare leggendo con attenzione i classici antichi.

Si scoprirà ad esempio che nell’Odissea, Mercurio, il dio della medicina, dona ad Ulisse una pozione preparata con una pianta profumata, una liliacea, il Bucaneve, con la quale egli sarà capace di far tornare la memoria ai compagni inebetiti dalla magia di Circe. Negli anni recenti gli scienziati hanno scoperto che proprio nel Bucaneve esiste una sostanza, la Galantamina, capace di stimolare le funzioni cerebrali in generale e la memoria recente in particolare.

Il calo delle capacità mnemoniche è un sintomo comune, ma anche assai penoso per chi lo vive. La medicina ufficiale non ha dato ad oggi una risposta terapeutica efficace, ma la ricerca scientifica ha per gran parte chiarito strutture anatomiche e sostanze biochimiche coinvolte.

* Esperto del Centro OMS di Medicina Tradizionale Università di Milano


Fonte



questo oggetto è tratto da Da Cuore a Cuore
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